giovedì, agosto 24, 2006

Nei dintorni dell'arte

Il patrimonio artistico italiano è certamente un bene prezioso e la stampa nazionale non perde occasione per sottolinearlo, magari nel tentativo di compiacere qualche sponsor facoltoso o di aiutare un comparto commerciale che nel contesto fatica a far quadrare i conti. Infatti nonostante il numero considerevole di opere dislocate tra chiese, gallerie, musei e altro ancora, il nostro non è più il paese più visitato al mondo, per cui politici e amministratori hanno iniziato a interrogarsi nell'intento di risvegliare l'appeal dei tempi passati. Ma quello dell'arte non è solo un settore da cui spremere qualche provento per le esangui casse statali o un ricettacolo ben confezionato ove coltivare consensi popolari spesso mal riposti. E' prima di tutto un ambito in cui si muovono interessi molteplici, fondati ormai sul principio di impresa ove l'artista, piuttosto che immerso in una praxis, è invece espressione di una poiesis, di un fare finalizzato ad un fine, che molto spesso è il denaro, la fama o più frequentemente la ricerca di un modo effimero per sbarcare il lunario. Se guardiamo al passato recente l'ultima corrente degna di attenzione è la Transavanguardia, risalente agli anni 80, e i talenti nostrani apparsi sulle cronache internazionali si contano sulle dita di una mano, facendoci ricorrere spesso ai soliti esempi come Cattelan o Beecroft, che somigliano più a degli abili competitors che non a dei veri artisti. Ma evidentemente non si tratta solo di vena poetica o di una cronica mancanza di clinamen creativo, in quanto l'arte è anche espressione del proprio tempo e quello che ci attornia vive una fase di empasse difficile a morire, preso com'è fra crisi energetiche e mercati globali in continua fibrillazione. Guardandoci intorno vediamo economie, come la Cina o l'India, ove la crescita economica sta partorendo anche fenomeni culturali e artistici in larga evoluzione, in cui si impongono ormai talenti conosciuti in tutto il mondo e dove l'artista si fa artefice e interprete del fermento che lo circonda. Ma da noi non è così, forse perchè stiamo scontando ancora i retaggi di anni oscuri, passati tra barricate e schematismi ideologici colpevoli di congelare l'immaginario delle generazioni successive, ma forse perchè manca da troppo tempo quell' environment, quello spazio formativo che, dal mercato alle istituzioni, sappia dialogare con la sur-modernità e scolpire uno stile al passo coi tempi.
Ecco quindi che accanto ad artisti impresentabili, manca una cultura adeguata per tutte quelle figure che oggi rappresentano lo strato produttivo ineliminabile che sostiene il settore artistico come critici, curatori, galleristi e, last but not least, la stampa specializzata. Quale sia la cura più opportuna al momento non è dato sapere e certamente proseguendo in ordine sparso come è stato fino ad oggi, tra facili campanilismi e polemiche rancorose, non ne uscirà niente di buono; se anche l'arte applicata, fondata su un design che in molti all'estero ci invidiano, arranca di fronte ai colpi dei costi e della concorrenza probabilmente è venuto il momento per ripensare un approccio dell'arte che voglia progettare una diversa adesione all'esistente. Mi piacerebbe pensare ad una stagione iconoclasta, ad un manifesto ideativo come poche correnti seppero proporre in passato, anche a costo di scompaginare il déjà-vu dei giorni nostri: ma chi vorrebbe candidarsi a questo compito titanico, chi saprebbe suscitare l'eco di una ilarità che ci sappia nuovamente seppellire ?