domenica, maggio 04, 2008

Vota Antonio

Dopo l'ultima tornata elettorale, considerata da molti commentatori come una delle più noiose della nostra travagliata storia repubblicana, sono già emerse le prime avvisaglie di un dejà vu dai contorni piuttosto inquietanti. Infatti a dispetto dei consueti tempi istituzionali, che vorrebbero prima una chiara attribuzione delle competenze e delle eventuali deleghe governative, si sono già levati i primi annunci sulle possibili soluzioni da adottare per fronteggiare le sorti di questa nazione. E così abbiamo subito appreso che il Pdl, coalizione uscita vincitrice da questo tenzone elettorale e capitanata dal campione nazionale del liberismo economico, ha improvvisamente abdicato dai suoi conclamati principi per aderire ad un raffazzonato interventismo di stato, come non si vedeva da tempo nemmeno nella più lontana repubblica di stampo sovietico. L'Alitalia, la tanto decantata "compagnia di bandiera", troppe volte rifinanziata con i soldi dei contribuenti, potrebbe essere fusa con un altro carrozzone di stato (le ferrovie), mentre i redditi da lavoro potrebbero essere risollevati grazie alla detassazione sugli straordinari: come dire dopo il danno la beffa! Per non parlare poi del rebus con cui risolvere l'annoso problema campano dei rifiuti, dove i costi di smaltimento vengono sostenuti più volte dai cittadini senza ottenere in cambio alcuna certezza del servizio. Infatti questa gabella viene evasa prima dai residenti e poi, a causa della mancata rimozione, dal resto degli italiani che devono accogliere questa polluzione a casa loro oppure ne devono pagare il trasferimento altrove, magari utilizzando servizi logistici complessi e costosi. Ma questi evidentemente sono solo i prodromi di una ventata di novità che ci rallegreranno i giorni a venire e che, tra la diffusione dell'inno nazionale e l'esibizione muscolare del saluto romano, metteranno ulteriormente in risalto lo spirito fortemente antieuropeo di questa coalizione e dei suoi inguaribili sostenitori. Una prova per tutte c'è l'ha fornita la dirigenza della Rai, la maggiore azienda culturale italiana, a fronte della messa in onda dell'ultimo numero di Annozero in cui si parlava del V2-day, promosso da Beppe Grillo. Infatti a dispetto della diffusione che l'evento aveva avuto, grazie al supporto offerto dall'emittente milanese C6, e della diffusione che la stampa nazionale gli aveva consentito nei giorni successivi, si è scagliata senza mezzi termini contro il conduttore della trasmissione per aver diffuso a posteriori invettive gratuite verso il presidente Napolitano e altri. Sarà ma personalmente mi sembra un autentico autogol, che a distanza di anni dal famoso editto bulgaro col quale si mettevano le premesse per estromettere dal suo organigramma alcune presenze scomode (Biagi, Luttazzi, Santoro), rimette nuovamente in discussione il suo ruolo istituzionale. Infatti così facendo si risponde solo con un atteggiamento autoritario a questioni cruciali come il diritto di cronaca e la libertà d'informazione che mai come oggi sono rovinate così in basso nel nostro paese, ledendo seriamente l'autorevolezza di chi vuole fare giornalismo in maniera coraggiosa. Anche perchè un'azienda oggi, qualsiasi sia il suo assetto proprietario, dovrebbe rispondere a principi di efficienza e di profittabilità e non preoccuparsi di urtare la suscettibilità del politico di turno. E per finire mi chiedo: com'è che tanta verve censoria non viene esibita ogni volta che starlette della domenica si fanno notare solo per la loro scollatura, oppure quando conduttori improvvisati alle prese con un ospite straniero sanno balbettare a malapena qualche parola in inglese? Ad ogni modo se il buongiorno si vede dal mattino...

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domenica, aprile 27, 2008

Dell'arte e della sua inanità

Dopo molti rinvii finalmente l'opportunità tanto attesa: un fine settimana pieno di sole che mi offriva la possibilità di avvicinare un evento di indubbio interesse. Infatti da giorni tenevo a mente la mostra che la fondazione Bevilacqua la Masa aveva inaugurato nella seconda metà di marzo, accogliendo nelle sale della sua sede operativa a Venezia una dei maggiori performer di oggi, ovvero Maja Bajevic. Le cronache la dipingono come una "nomade" influenzata da molteplici esperienze che, per sfuggire alla guerra che martoriava Sarajevo sua città natale, ha finito per diventare cittadina del mondo, proiettando nei suoi video le angosce e le speranze di un'intera generazione. Fin dalla fine degli anni novanta, periodo in cui arriva a maturazione il suo percorso artistico, non si contano le opere legate all'arte visiva uscite dalla sua fervida immaginazione, portandola progressivamente ad animare le gallerie e le fondazioni di mezzo mondo, così da fare di Parigi, Venezia e infine Berlino le città ove risiede con maggiore frequenza. Forte di questi argomenti e sull'onda delle positive recensioni raccolte, mi sono recato con passo lesto verso la sede della fondazione, dove potevo contare sull'allestimento di alcuni lavori particolarmente rappresentativi della sua poetica. In particolare quel "Repetitio est mater studiorum", frutto di un lavoro appositamente realizzato sul posto con la collaborazione del personale interno in vista della vernice. Non vi dico quindi la delusione quando alla sommità della scala che immette ai locali del palazzetto, mi sono trovato invece nell'impossibilità di accedervi fisicamente. Infatti il salone che la accoglieva era occupato da un intreccio inestricabile di lana, fili metallici e reticolato, creando un intarsio colorato disposto su una duplice direzione. Al di là dell'innegabile suggestione che poteva muovere un simile artificio, non ci si poteva altresì esimere dal fastidio per la scarsa avvedutezza logistica in quanto per accedere alle stanze limitrofe sarebbe stato necessario inginocchiarsi e spostarsi carponi fino all'estremità opposte. Nell'impossibilità di procedere nel mio intento, ho girato i tacchi e mi sono diretto lentamente verso l'uscita, pensando all'inutile autolesionismo in cui si dibattono simili iniziative. In un paese come il nostro, dove malversazione e retorica vanno a braccetto, l'arte è una delle poche espressioni che può suscitare ancora una passione diffusa, fatta eccezione quando si manifesta con simili contorsionismi, preferendo all'interrogazione festosa il pleonasmo inconcludente. Soprattutto quando questi eventi sono accolti da strutture pubbliche, il cui dichiarato obiettivo è quello di promuovere la formazione e diffondere l'interesse per l'arte di oggi.

lunedì, marzo 24, 2008

Condor

Questo pomeriggio procedevo lentamente alla volta di uno store di provincia, che solo una giornata piovigginosa poteva suggerirmi, quando armeggiando con la sintonia mi sono imbattuto nelle note di Condor, programma radiofonico che dal lunedi al venerdi si diffonde sulle frequenze di Radio2.
Era da tempo che non mi provavo in tanto esercizio, anche perchè di solito a quell'ora sono ancora alle prese con faccende più laboriose che purtroppo non mi permettono alcuna distrazione.
Ad ogni modo, dopo la sorpresa nel risentire alcuni beniamini di queste rare parentesi pomeridiane, è sopravvenuto presto un senso di noiosa assuefazione, a cui però non avrei saputo sottrarmi se non fosse intervenuta un'improvvida interruzione che mi impediva di proseguire in un simile deliquio. Mi rendo conto che il target della trasmissione si è sempre basato su uno stile leggero e misurato ma adesso mi sembra che si sia passato ogni limite: alle curiosità si sono ormai sostituite facezie di ogni tipo mentre l'accompagnamento musicale si stempera in un traccheggio scontato e melenso. Come non bastasse il tutto nuota in un brodo primordiale fatto di chiacchere più o meno inconcludenti, ove i conduttori si disputano a vicenda il ruolo del leader della pedanteria. Va da sè che non tutto ciò che si ascolta oggi alla radio può essere di nostro gradimento ma resta il fatto che dalle voci di Luca Sofri e Matteo Bordone ci si può aspettare qualcosa di meglio. Non fosse altro perchè accanto a questo esercizio di retorica si sono misurati in esperienze più significative, motivo per cui si leva forte la mia preghiera: tornate presto in voi!

martedì, aprile 24, 2007

Caro Alberto, non ti dimenticheremo


domenica, aprile 22, 2007

Non ci posso credere!

Passano pochi giorni dal mio ultimo post e cosa succede? Il campionato italiano finisce con qualche domenica d'anticipo, premiando la squadra più forte della stagione ma anche la più odiata del momento: l'Inter di Massimo Moratti vince il suo quindicesimo scudetto ma ancora una volta non riesce a far suo quel tributo unanime che le manca dagli anni 60, da quando il patron Angelo seppe farne un mito del calcio, appannatosi inesorabilmente a causa di una faciloneria autolesionista che sarebbe stato il marchio del club per molti anni a venire. Nondimeno vittima di un calcio ormai privo dello storico appeal e quindi di eventi percorsi sempre dall'ombra del tranello che, sotto il peso della desolazione incombente, sanno solo accendere parapiglia mediatici che civettano con gli enormi interessi economici in cui si dipana il "soccer" nazionale. Ma evidentemente come dice la tradizione popolare, i "guai non vengono mai soli": infatti accanto ai clamori festosi provenienti dai campi di gioco si poteva ascoltare la notizia politica del giorno, che celebrava finalmente il matrimonio tanto atteso tra due grandi partiti del teatrino italico, ovvero i DS e la Margherita. Dopo trent'anni dall'omicidio di Aldo Moro, sacrificato nel nome della fermezza e dell'ipocrisia statuale (valgano per tutte le osservazioni di Leonardo Sciascia), si porta a termine il disegno politico del compromesso storico, dissolvendo quelle convergenze parallele che hanno caratterizzato il cammino di questo paese e aprendo una fase nuova nel sistema dei partiti, finalmente orfani dei loro retaggi novecenteschi per concentrarsi in maniera definitiva sui destini del neo-liberismo planetario. Purtroppo dopo l'epoca del terrorismo, quella di tangentopoli, passando tra tentazioni golpiste e scandali alla luce del sole, questo paese senza stile e senza memoria non trova di meglio da fare che alzare il velo sul declino di una tradizione che mette, almeno per il momento, la parola fine su ogni sogno progettuale legato al politico. Se nell'antica Grecia i filosofi erano chiamati al governo delle cose, oggi siamo ormai alla mercè di amministratori mediocri che si presentano alle folle dividendosi tra marketing e retorica, orientati come sono ad addomesticare il presente ma assolutamente incapaci a progettare l'im-possibile. Come direbbe Woody Allen: "Dio è morto, Marx è morto e anche io non mi sento tanto bene".

sabato, aprile 21, 2007

Francesca Woodman


Untitled, The Estate of Francesca Woodman, New York

giovedì, aprile 19, 2007

What's left

Spulciando curioso tra i bancali della libreria sotto casa, mi sono imbattuto giorni orsono nell'ultima fatica di Bruno Arpaia, firma prestigiosa e poliedrica della pubblicistica recente, che con piglio insolito affronta i dilemmi della post-modernità. A offrirgli questa opportunità sono ancora una volta i tipi di Guanda, mettendo nero su bianco i risultati di un'indagine saggistica volta a illuminare il destino impietoso di una sinistra italica, stretta tra i bagliori di un passato remoto e le ombre inquietanti di un futuro ancora da decifrare. E quale titolo migliore poteva assumere questa nuova narrazione se non un ossimoro ben condito, una ibridazione semantica irta di interrogativi come "Per una sinistra reazionaria"? Per fortuna nostra e di tutti i curiosi che vorranno cimentarsi con questa impresa le pagine scorrono veloci, gli argomenti si intrecciano vorticosi senza lasciare però i segni di una riflessione urticante, seppur supportata da citazioni brevi e frequenti, avvitate come sono su un canovaccio leggero, che ad ogni pagina offre spunti di riflessione universale e personale. Qualcuno obbietterà che non si tratta del parto di uno specialista, di uno studioso rotto alle ricerche più attente e aggiornate, indegno quindi di quelle attenzioni che solo un soggetto supposto sapere può trarre attorno a sè. Niente di più sbagliato, perchè questa volta alla forza degli argomenti si unisce il peso delle vicissitudini di un popolo sbandato, confuso, la forza di un'indignazione che serpeggia impetuosa nei loro animi e li rende sempre più simili alle fragili caricature di una middle class di ballardiana memoria. Che si debbano lasciare una volta per tutte le pagine ingiallite del Capitale per sostituirle con quelle ribalde di Millennium People? L'irrompere del web e la trasformazione dei mercati globalizzati hanno modificato profondamente la vita di tutti noi, sottraendoci lentamente il senso delle cose, la profondità del nostro tempo, fino a realizzare pienamente il disegno della società a una dimensione. Purtroppo ricette non ce sono e l'isolazionismo sociopatico in cui si rinchiude l'homo consumens non lascia presagire niente di buono ma come nell'affabulazione heidegerriana l'arte e il racconto sono ancora lì, suggerendoci sentieri in-terrotti ancora da percorrere.